Cristoforo Colombo la scoperta che ha cambiato il mondo è un’intervista impossibile

0

La genesi dell’intervista impossibile a Cristoforo Colombo

Nel 2016 studiando e ripetendo la lezione con mio figlio Simone, mi accorsi che qualcosa nella “storia” per come è scritta nei nostri libri non scorreva fluida, così ho cominciato a documentarmi, non pensavo ad altro, per me cominciava una sorta di interesse per il nostro Amico navigatore. Ho letto biografie, testi storici. Inoltre ho cominciato a riflettere sul grande errore di valutazione che egli ha commesso: in effetti pare improbabile che Colombo abbia potuto commettere un errore così grossolano sulla circonferenza della Terra, che era già certa all’epoca di Erastotene. In ogni caso un’altra pista misteriosa è quella che ci porta in Medio Oriente dove l’Ammiraglio ottomano Piri Reìs accusava il nostro di essere un ladro e di avergli rubato un preziosissimo portolano già appartenuto allo zio, il noto ammiraglio Kemal Re is. I contenuti per immaginare una grande storia ci sono tutti: le onde del mare oceano, l’avventura, i pirati, i ricchi banchieri, senza dimenticare i sovrani di Spagna.

Nasce l’idea di una intervista impossibile

Con tutta quella documentazione raccolta, scartata l’ipotesi di un’altra biografia pseudoscientifica, mi venne l’idea dell’intervista impossibile, riprendendola da Carmelo Bene che già negli anni settanta le proponeva alla radio. Potevo così riproporre in teatro un prodotto che potesse essere apprezzato anche dai ragazzi, per dare loro gli stimoli della ricerca anche oltre gli spazi conosciuti. Oltre la “normal confort zone”.

La sfida storica

L’argomento è certamente coraggioso e diventa una sfida storica, attraverso provocazioni antiche e verità possibili. Probabilmente l’intento più realistico per il navigatore genovese non erano le favolose Indie, ma un più vicino continente di mezzo, dove posso azzardare ci fosse già stato in precedenza. L’intervista che ho realizzato al redivivo Ammiraglio colpisce per la schiettezza, per l’amore della verità e per l’attualizzazione di argomenti sociali e non verranno risparmiate feroci critiche al nostro sistema. Egli uomo del Medioevo risulterà molto più moderno, di quanto si possa pensare.

L’ospite

L’ospite di questa sera non è soltanto un personaggio famoso che conosce il mondo e gli uomini. Egli rappresenta il mito del coraggio, dell’avventura, dell’esplorazione e del sogno poetico. La ricerca di un ideale che può portare fino al sacrificio estremo. Egli fu spinto nella sua pur con i suoi limiti, dalla convinzione di dimostrare che il limite imposto dalla sua epoca potesse essere valicato. Con la sua tenacia ci permette di immaginare i grandi viaggi oltre la scoperta. La storia parte dal mare per vibrare le corde del sentimento.

 

Una voce fuori campo urla: “In scenaaa”
Si alza il sipario
Sul palco una scrivania e diversi appunti un microfono, poco distante un telone bianco appeso. Parte la musica un brano tratto da “La conquista del Paradiso” di Vangelis colonna sonora dell’omonimo film con un ispirato Gerard Depardieu. L’introduzione di fiati e chitarra crea già il giusto pathos.
Entra l’intervistatore, è elegante rappresenta l’uomo dell’età moderna è un giovane nato nel secondo millennio. Ha l’atteggiamento molto spavaldo, è molto sicuro di sè.

 

Intervistatore:

Buonasera a tutti e benvenuti a questo appuntamento con la storia a voce alta. L’ospite di questa sera non è soltanto un personaggio famoso che conosce il mondo e gli uomini. Egli rappresenta il mito del coraggio, dell’avventura, dell’esplorazione e del sogno poetico. La ricerca di un ideale che può portare fino al sacrificio estremo. Egli fu spinto nella sua impresa, pur con i suoi limiti, dalla convinzione di dimostrare che il limite imposto dalla sua epoca potesse essere valicato. Con la sua tenacia ci permette di immaginare i grandi viaggi oltre la scoperta. Questa storia parte dal mare per vibrare le corde del sentimento di ognuno.

Musica

Accogliamo con l’entusiasmo che merita, il più grande navigatore di tutti i tempi, il primo grande uomo moderno: Signore e Signori, ho l’immenso onore di presentarvi l’Ammiraglio in capo del mare oceano Cristoforo Colombo!

Nel frattempo, nello stupore di tutti, dietro un lenzuolo appare la sagoma del grande navigatore.

I: Buonasera Ammiraglio Colombo; posso chiamarla Cristoforo?

Silenzio e suspence

Cristoforo Colombo:

Già che c’è potrebbe portarmi anche un piatto di trofie al pesto? In Spagna e in viaggio mi sognavo sempre, anche di notte, il basilico di Prà.

I: Guardi, magari più tardi, dopo l’intervista avrò fame anch’io. Le andrebbe lo stesso un buon piatto di bagna cauda e agnolotti al sugo d’arrosto?

C.C.: Sì certo sono sempre abituato ai compromessi. Tra l’altro lei sapeva che ho creato io la bagna cauda? Una sera a Varigotti con i miei marinai e un gruppo di contrabbandieri piemontesi. Quella sera sulla spiaggia avevamo solo acciughe salate e olio buono con qualche peperone e patata scaldata nella brace e l’entusiasmo del vino non faceva difetto.

Altro che America! Me lo diceva sempre mia nonna: “Stanni a cà figgiæ!”. [Sta’ a casa ragazzo]

Non si può mai attraversare l’oceano se non si ha il coraggio di perder di vista la riva.  Ma forse sto già divagando… mi chiami pure Ammiraglio!

I: Ammiraglio lei è nato nella Repubblica di Genova nell’Anno del Signore 1.451 forse in Agosto. Lo sa? Oggi molti paesi affacciati sul Mediterraneo sostengono che non sia nato nella Superba ma sia nato a Cuccaro monferrato, Calvì in Corsica o in Spagna a Cogoleto, in Sardegna o addirittura in Polonia. La chiamano Cristobal, Colon, Colombus, Guiarra. Alcuni in Messico asseriscono che lei sia un impostore ciarlatano. Altri ultimamente sostengono che sia un pirata portoghese accusandola di falsità e genocidio.

C.C.: AHAH… [con sdegno] tutti questi perdigiorno! Non diciamo sciocchezze! Cosa vuole che importi alla gente; e chi vuole veramente sapere, dove son nato? O come mi chiamano i bifolchi, che corron dietro soltanto a pesci piccoli. M’intenda, buon uomo, non è questo l’importante.

Sì certo! In quel periodo era normale far sorgere questi dubbi e l’ufficio anagrafe non brillava certo di efficienza, altresì la Repubblica era molto vasta. Comunque, sono nato nella Grande Genova vicino a Porta Soprana, figlio di Domenico Colombo, uomo instancabile e di gran spirito moderno, “heasy going”, potreste dire oggi e Susanna Fontanarossa, una donna genovese immensa e fantastica… ma questo direi che per la nostra storia è secondario. Inoltre qualcuno sostiene anche che sia figlio di un papa… e dato in adozione alla famiglia Colombo quando ero in fasce. Comunque, se può essere utile nel mio testamento scrissi di mio pugno:

“Essendo io nato a Genova sono venuto a servire la Castiglia.”

I: Ha nostalgia di Genova, di Porta Soprana, dell’Olivella del centro storico? Cosa pensa della sua città?

C.C.: Belin! Non passò un sol giorno senza nostalgia. Ho disposto un lascito per i miei concittadini,  presso il Banco di San Giorgio. Ma tuttavia sono d’accordo con il fiorentino Francesco Guicciardini su Genova che già aveva le idee chiare:

“Se non fosse lacerata dalle discordie interne, sarebbe certamente la regina del mare oceano”.

Ora che ci penso, buon uomo, in quale anno domini siamo?

I: Siamo nel 2020, molto tempo è trascorso da quando lei affrontava il mare. Nel frattempo, subito dopo la sua scoperta, siamo giunti nell’età moderna: l’uomo ha raggiunto la Luna, spedisce i suoi satelliti nello spazio e in questi giorni la sonda ha raggiunto il pianeta Marte. Lei ci ha permesso di immaginare viaggi interstellari alla scoperta di un sogno. Grazie a lei l’umanità intera ha riscattato il diritto ad avere una visione e soprattutto il coraggio di seguirla, oltre ogni ragionevole dubbio.

C.C.: Ciò che dice con trasporto è molto significativo e corrisponde al vero, sono stati fatti molti progressi. Purtroppo la verità è che ci sono ancora molte disparità, molte contraddizioni nella vostra società. Voi chiamate la nostra era Medio Evo, ma a parer mio molto di più si sarebbe potuto realizzare grazie alla tecnologia e alla cultura di oggi. Con le vostre potenzialità, la vostra tecnologia, avrete raccolto forse un quarto un quinto, troppo poco!

Ho l’impressione che l’umanità si regga su sistemi poco equi.  Spero che il bisogno di migliorare vi porti a raggiungere l’equilibrio e la pace tra tutti i popoli. E non ci può essere pace ed equilibrio se altri soffrono; il loro desiderio sarà sempre quello di fuggire, da guerre e carestie, in cerca dei bisogni primari. Inutile nascondersi dietro grandi muraglie e confini. Lo farebbe anche lei, mio buon e moderno amico. Aprite il cuore e non seguite soltanto il profitto. La Santa Maria mi ha portato in America e riportato in Spagna e  voi non siete capaci di tener su i ponti.

I: Capisco! Si dice che lei iniziò a viaggiare per mare molto giovane. Cosa l’ha spinto ad affrontare le onde fuori dal porto?

(NDR: che se mi è consentito. E’ anche il titolo di un libro di chi vi parla)

C.C.: Cerchi di intendere, la nostra città non ha mezze misure: stai in porto o esci in mare, in questo ti aiuta l’appennino, i nostri monti fanno da scivolo, all’inizio ti contengono, poi fanno da rampa e ti scaraventano verso l’orizzonte e devi sperare di prender subito buon vento. In caso contrario… bè avete capito: “megiu stàsene a cà”. [meglio stare a casa]

Mio padre mi ha aiutato, ha fatto un sacco di lavori era cardatore e lanaiolo, commerciante e oste di buon vino. Ho sempre dato una mano al mio vecchio, ma nello stesso tempo non mi vedevo nella sua vita in osteria a Savona a sedar risse di ubriaconi ignoranti e fannulloni. Io guardavo il mare e volevo carpire i segreti del mondo. Cercavo di oltrepassare i miei limiti, come i poeti, possedevo il sogno di trasformare la visione in reale.

Mio padre lo ha sempre saputo e quando è stato il momento mi lasciò partire, suo malgrado. Dio lo accompagna nella Gloria.

I: Così ha solcato in lungo e in largo il Mediterraneo, facendosi le ossa sui mercantili da Chios fino a Bristol per le grandi famiglie genovesi?

 C.C.: Lei è molto preparato, discuto volentieri con lei e i suoi ospiti, finalmente mi difenderò da tutte le ingiurie e le angherie subite. In un caldissimo Agosto del 1.476, veleggiavamo fuori le coste portoghesi di Lagos, la mia nave, salpata dalla Repubblica di Noli, carica di mercanzie, chiudeva una flotta di 5 galee, issava l’insegna del Duca di Borgogne e Conte delle Fiandre, venne attaccata da quel furfante corsaro francese, si chiamava Guillaume de Casenove; satanasso, [urlando] che il diavolo se lo porti. L’abbordaggio andò male, la mia nave prese fuoco e affondò. Ferito, caddi in mare e arrivai a riva, aggrappato a uno sfasciame della mia nave, nella baia d’Algarve, fu certamente un miracolo per intercessione della Vergine. Lì riparando, mi feci una nuova vita.

I: I genovesi erano ben accolti e molto rispettati in Portogallo?

C.C.: Belin se eravamo stimati, iniziava il secolo d’oro della Repubblica Marinara. I genovesi aiutarono a liberare Lisbona dai mori, trasformandola in “città d’oro”. Il maestro Ogerio costruì le loro grandi navi. Loro parlavano una lingua simile alla nostra e ci capivamo, compravano le nostre merci e soprattutto ci invidiavano le qualità di grandi navigatori e la ricchezza. Pensi che molti capitani genovesi, per conto dell’infante Enrico il “navigatore” che in realtà non uscì mai in mare; ricevettero titoli di ammiraglio e preso possesso di arcipelaghi come Porto Santo, Madera e Azzorre.

I: In Portogallo come andò?

C.C.: Nel paese lavorava già da due anni mio fratello Bartolomeo, che voleva facessi il cartografo nella sua bottega, avendo già conoscenze di nautica e buona grafia, purtroppo come le dissi, la terraferma mi portava noia e anguscia. Volevo esplorare il Mare Oceano. Esso tuttavia così sconosciuto e infinito, mi attirava più di ogni altra cosa al mondo.

I: Si fece molti amici in quel periodo? Ma scommetto che il suo pensiero faceva come l’onda sugli scogli: frangeva senza tregua. Il suo animo si faceva sempre più irrequieto.

C.C.: Amici importanti e non le nego che cominciai a frequentare gente colta vicina alla corte portoghese. In quel periodo anche loro contavano su una potente e ricca flotta e una tradizione marinara immensa. Le navi partivano ogni giorno dai porti per cercare tesori in Africa, proseguire verso il Capo di Buona Speranza e giungere alle Indie. Una piccola nazione alla conquista del mondo. Ricevetti diverse offerte per veleggiare verso il Capo di Buona Speranza e feci qualche missione, seguendo il vento.

I: Ci sono molte storie sul suo conto, anche poco chiare. Tuttavia ci vuole raccontare come andò veramente la storia?

C.C.: [ridendo] – Per tutte le bussole taroccate! Purtroppo non avevo dubbi, alcune fui io stesso ad alimentarle. Ma adesso grazie a voi potrò chiarire [gli esce un urlo come di gioia] la storia che mi sta più a cuore. Durante il periodo “portoghese” mi sposai con la bellissima Felipa Moniz e quelli furono giorni sereni e mi documentai molto su ogni testo che riuscivo a trovare nella biblioteca, inoltre mia suocera, che mi stimava molto, mi fece accedere all’immensa biblioteca del marito: il cosmografo, navigatore e governatore dell’isola di Porto Santo Bartolomeo Perestrello, diretto consulente di Enrico il Navigatore, analizzai così portolani catalani, genovesi, ove si trovano riprodotte isole fantastiche ad ovest del Portogallo. Ricordo la carta dei fratelli veneziani Domenico e Francesco Pizzigano del 1.367; i portolani del 1.426 del genovese Battista Beccario, la cartina di Tolomeo del 1.475. Pensi che un atlante della serenissima mostra accanto alle Azzorre, le sette zitade (città): molto probabilmente si trattava delle isole Bermuda o le Barbados. Grazie a mio suocero riuscì ad accedere anche ad antichi libri greci, pergamene arabe, missioni rotte e disegni preziosi per la navigazione. M’imbarcai per alcuni viaggi verso nord recandomi anche in Islanda e lì compresi che quei particolari confusi potevano essere un nuovo continente, nel quale erano già arrivati questi possenti vichinghi del nord. A Galway, tranquilla cittadina dell’isola di smeraldo, trovai testimonianza di imbarcazioni realizzate con legname che non cresce nelle nostre terre, con a bordo cadaveri di persone dalle facce strane tutte dipinte.

I: Cadaveri veri?

C.C.: Certo! Ma per chi mi prende? Sì! Altrimenti chiamerebbero “cadafinti”! Non m’interrompa con idiozie. [Falsamente seccato]

Ebbi così modo di confermare tutti i miei studi: doveva esserci una terra di mezzo. Vi accenno anche al monaco San Brandano il quale passò molti anni della sua vita a evangelizzare l’Irlanda, il Galles e la Scozia attorno all’anno ‘500. Tuttavia nacquero leggende, comunque contenute nel volume Navigatio Sancti Brendani, che lo dipingono esploratore dei mari, con altri missionari, navigò per sette anni, scoprendo una terra lussureggiante come il Paradiso.

I: Veramente interessante! Ma perché tutti questi documenti non ci sono pervenuti?

C.C.: Probabilmente tutte le carte andarono irrimediabilmente perdute a causa del terribile terremoto e tsunami che distruggerà il Portogallo nel 1.755. O forse perché qualcuno aveva l’interesse tecnico di non lasciare tracce. L’uomo è sempre stato scaltro. Il termine da usare è più popolare, tuttavia non perdiamo la prua.

I: Chi poteva avvantaggiarsi da questo?

C.C.: Guardi che in quel periodo il tribunale dell’inquisizione spagnola e portoghese, censurava e bruciava certi libri considerati “scomodi”. Lo spiegherò navigando. Cerchi di stare in coperta. La vedo già in difficoltà dopo i primi soffi di tramontana, si leghi all’albero maestro se già soffre con i primi spruzzi.

I: Capisco! Ha la dote di essere diretto ed efficace, Lei è un uomo veramente interessante!

C.C.: In effetti, Anch’io mi convinsi di essere un prescelto da Dio. Ossessionato dalle scoperte, non dormivo più, tornai in Portogallo e cercai subito udienza dal Re, purtroppo la mia eccessiva sicurezza, entrava in conflitto con alcune teorie religiose che volevano “ancora” la Terra piatta. Così il Re distratto dalle altre imprese dell’Ammiraglio Diaz, che nelle Indie occidentali già c’era arrivato circumnavigando l’Africa; e ferito dalla mia presunzione, convinto da dieci preti scemi, mi cacciò. In ogni caso, la proposta lo incuriosì e finanziò una missione segreta, affidandola al fiammingo Ferdinando Van Olmen, che partì, con due caravelle, in un momento troppo sfavorendole e questi non fece mai ritorno; che Dio e il Mare lo proteggano come proteggono tutti i dispersi nello sterminato Oceano.  

I: Quindi non fu il primo a partire e fu in quell’occasione che abbandonò il Portogallo?

C.C.: Purtroppo sì il ciclo era terminato, non c’era più nulla che mi legava a questa terra, anche Felipa, l’ombra fuggevole che passa sulla scena della storia, tuttavia madre dei vicerè delle Americhe. che Dio l’abbia in gloria, (sospirando) era volata al 3° anello, così presi con me Diego e tornai in Spagna. Il Signore non ti abbandona mai e così, ci fu la svolta, impensabile appena qualche giorno prima.

I: Non ci lasci sulle spine Ammiraglio! Cosa successe in Spagna?

C.C.: Era il 1.485: eravamo nei pressi di Santa Maria La Rabida e quella sera, dopo molto cammino io e il mio figliolo Diego eravamo stremati dalla fatica ed affamati. Chi se non il Signore spinse le mie mani verso la porta di quel convento francescano?

Ci aprì un monaco speciale, ci ospitò ed entrammo subito in confidenza. Gli parlai della mia storia e delle mie convinzioni; non ci mise molto ad innamorarsi del mio sogno.

I: Non mi dica? Era proprio lui?

C.C.: Certo! In carne e pesce! Lo conoscete?

I: Ne ho sentito parlare. Il confessore di Isabella di Castiglia: regina di Spagna.

C.C.: Altro che monaco! Juan Perez era un templare in incognito, furbo come una volpe, svelto come una faina. Lui la regina se la faceva, spesso in barba al Re.

Alla fine delle mie confessioni, mi disse ubriaco come un camallo del porto vecchio:

“Ammiraglio prepari le sue mappe, gli studi, ogni carta e appunto andiamo da Lei! Domani andremo da Isabella! Ella ci attende. Sfoderi tutta la sua magnifica eloquenza e la regina cadrà ai suoi piedi”.

E così andò!

I: Perciò le tre caravelle hanno il simbolo templare sulle vele?

C.C.: Non solo! Nell’affare entrò il Vaticano, minacciato dagli infedeli, che spingevano alle porte. I prelati volevano diffondere il cristianesimo anche in paesi molto lontani, dei quali s’intuiva l’esistenza. Uno dei miei più grandi “amici” e alleato si dimostrò proprio papa Innocenzo VIII. Qualche ciarlatano annunciò pure che fosse mio padre. Questi sono pettegolezzi di mozzo. Nelle danze entrarono anche le potenti famiglie genovesi, oggi potreste parlare tranquillamente di sponsor. Trovavo la fermentazione del lievito delle grandi imprese intorno a me.

I: Non fu semplice convincere la regina. Temo!

C.C.: Per l’Orsa Polare che danza! Pensava fossi poco affidabile e un pò ciucco y borracho (in spagnolo ubriaco).

Intervennero altre personalità altolocate. Inoltre i sovrani pensarono di non rischiare nulla con tre navi di rimessa e novanta tagliagole arruolati forzatamente nelle galere spagnole. In ogni caso, “sin embargo”, ci misi cinque anni per convincerli. Credo che la vera impresa sia stata quella, altro che l’immenso urlo dell’oceano.

I: Già tutti non avevano nulla da perdere, i reali di Spagna, i cattolici interessati a fare nuovi proseliti. Per lei e i suoi uomini fu un salto nel buio. Anche se forse il suo non fu un azzardo completo? O sbaglio?

C.C.: Lei è forse più furbo di Juan Perez! Strano… se tutti oggi fossero come lei nel Mare Nostrum, non ci sarebbero tutti questi viaggi verso Nord. Assumetevi la responsabilità di ciò che avete combinato contro i poveri del mondo, che si buttano in mare rischiando la vita per sfuggire a guerre e povertà. Li chiamate migranti, ma non siamo forse tutti un po’ stranieri in cerca di un miglioramento personale? E quanti ne muoiono nell’inferno dei deserti lungo il viaggio.  Trova legittimo che questa Terra debba appartenere solo a pochi?

silenzio

In quel periodo tutti, ribadisco TUTTI, avevamo il sentore che ci fosse una terra di mezzo, c’erano le mappe disegnate, grandi uccelli che si “perdevano” oltre le Azzorre, in Portogallo avevo incontrato marinai naufraghi che ci presentavano testimonianze speciali: frutti tropicali mai visti, tronchi di bambù enormi. Gli stessi uccelli migratori che si spostavano perdendosi verso Sud – Ovest. Le confermo che il mio non fu un azzardo. Dopo la morte di mia moglie per me era diventata un’ossessione: dovevo partire, raggiungere le Indie da quella parte fu un’idea del templare per dare in pasto alla corona spagnola una motivazione più sensata e per farmi apparire meno presuntuoso; per evitare l’errore che feci in Portogallo. Inoltre, seguendo gli alisei, Dio era con me e non ci avrebbe mai abbandonato.

I: Così partiste?

C.C.: Sì fu un gran giorno per Dio, per me, per Diego, per Juan Perez, per la regina e la corona, anche per i fratelli Pinzon che condivisero con me il comando della spedizione e per quei tagliagola farabutti, che ebbero l’alternativa per salvarsi la pelle, la Spagna li graziò. Io e il mare avevamo la loro vita in pugno. Non potevo sbagliare! Avevo la possibilità di dimostrare al mondo che i limiti imposti dalla propria epoca potevano essere valicati. Dimostrammo che il mondo non è così grande e infinito come lo pretende la gente.

Come avrebbe scritto, un pò di tempo dopo, Josef Conrad:

“Il mare non è mai stato amico dell’uomo. Tuttavia è sempre stato complice della sua irrequietezza”.

I: Lei ebbe anche la fortuna di usufruire di nuove tecnologie appena scoperte?

C.C.: Con una caracca e due caravelle di legno nell’ignoto oceano? Mi faccia il piacere!

Con quelle onde l’impresa era folle allora e sconforterebbe chiunque anche oggi. Un pò come diventare sindaco di una grande città italiana. [Ridendo]

Comunque sì!

Utilizzai le nuove scoperte: la vela latina triangolare a poppa che mi consentiva di navigare a bolina controvento, la bussola e l’astrolabio.

I: Lei serba nel suo cuore qualche segreto?

C.C.: Più d’uno e certamente sono i segreti del mondo, se li rivelo, successivamente, dovrò chiedere ai miei uomini di trapassarvi tutti di spada. (Ridendo forte)

Un particolare è sotto gli occhi di tutti: l’epitaffio di Innocenzo VIII nella tomba dei papi a Roma recita:

“Durante il suo regno la scoperta di un Nuovo Mondo”

Ma lui morì pochi giorni prima della mia partenza… Vi lascio pensare qualche istante. Avevo studiato bene gli Alisei, i venti oceanici che soffiano nell’emisfero boreale costantemente dal Nord-Est al Sud-Ovest ed ero colmo di follia e incoscienza che contraddistingue i grandi sognatori. Inoltre la regina e Juan Perez mi chiesero di mantenere viva la “mussa” delle Indie Occidentali, anche se io ero sicuro, che tra me e le Indie avrei trovato altre nuove terre. Il motivo di ciò lo compresi in seguito, mio malgrado.

I: Cosa disse ai reali cattolici per convincerli?

C.C.: Cattolico non saprei, ma il re era un cretino davvero, infatti se ne andò dalla riunione e mi diede l’impressione di un sovrano troppo impegnato a pensare alla minaccia saracena. Isabella mi ascoltava rapita e ormai sapevo quali leve smuovere: il vantaggio economico era allettante, inoltre c’era la missione della fede che consentiva di evangelizzare nuovi popoli senza Dio. Non dimentichiamo che la minaccia dei turchi era reale da quando anche Costantinopoli era caduta in mano ottomana. Ci misi molti mesi a convincerli quindi a maggio del 1.492 trovammo l’accordo: la corona mise a disposizione 1 milione di maravedi e il resto i miei amici banchieri genovesi del Banco di San Giorgio e tutti gli altri nuovi ricchi che stavano a contar palanche.

Con le lagrime che mi rigavano il volto era tutto pronto a Palos! Mi avevano concesso una Caracca di 200 tonnellate e due caravelle più piccole alle quali trovai subito il nome: Santa Maria, Pinta e Niňa. La sera prima della partenza, dopo aver assolto il dovere di buoni cristiani, l’equipaggio andò a riposare molto presto. Per molti quello sarebbe stato l’ultimo giorno che videro la Spagna. Novanta uomini: andalusi, galiziani, baschi, portoghesi e italiani da ogni provincia. A bordo provviste per un anno e una quantità infinita di biglie di vetro, specchietti, campanellini, berretti rossi e blue.

Pensate che avrei fatto presa sugli asiatici colti e ricchi con qualche pallina multicolore? Mi avrebbero preso a spingarde nella schiena.

I: Questo, ammiraglio, è un particolare interessante. Finalmente la partenza. Chissà quanta emozione?

C.C.: Guardi ero assolutamente privo d’emozione, ancora oggi non ho parole per quella partenza, io che conoscevo il mare come la cantina di papà, queste sono quelle che scrissi di pugno sul diario di bordo:

“Partimmo Il venerdì 3 agosto 1.492 dalla barra di Saltès a Palos, alle 8 del mattino. Andammo con forte vento di mare fino al tramonto verso sud sessanta miglia, che sono 15 leghe, quindi a sud-ovest e a sud quarta di sud-ovest, che era la rotta per le Canarie.”

I: Ha qualche racconto particolare del viaggio?

C.C.: Per tutte le focacce di Recco! Ho visto tre sirene emergere dalle acque, ma devo dirvi che non sono così belle e affascinanti come le dipingono a Sottoripa di Caricamento. Vi lascio immaginare.

Inoltre nel mio diario ho raccontato in questo modo di un uragano:

“Mai prima occhi avevano visto mari così grossi, arrabbiati e coperti di schiuma. Fummo costretti a rimanere al largo, in questo mare assetato di sangue, che ribolliva come una pentola posta su un fuoco assai caldo. Mai prima il cielo mi era parso più terrificante, e per un giorno e una notte interi si mostrò fiammeggiante come in una fornace. I lampi si susseguivano con tale furia e in modo così spaventoso che noi tutti pensammo che le navi sarebbero esplose. E durante tutto questo tempo l’acqua non cessò mai di cadere dal cielo”

I: E’ vero che il viaggio fu funestato da incidenti e sfortuna?

C.C.: Sì per tutte le bombarde di Lisbona. Sulla Pinta si ruppe il timone probabilmente un sabotaggio di qualche gaglioffo vestito di blucerchiato con la pipa, così riparammo a Las Palmas per la manutenzione, ripartimmo soltanto dopo un mese il 6 di settembre. Dopo dieci giorni eravamo nello spettacolare Mar dei Sargassi, quell’oceano verde di alghe enormi convinse la ciurma della vicinanza della terraferma. Erano marinai forti e violenti ma terrorizzati dall’ignoto. Infatti impazzirono per qualche ora, dopo aver vissuto l’episodio della declinazione magnetica, infatti l’ago della bussola si distanziava dal Nord geografico per indicare il polo magnetico.

Me la cavai con polso, fermezza e un pò di magia, dimostrando le mie teorie e convincendoli all’alba attraverso l’osservazione della stella polare e i normali riferimenti. Durante il terzo viaggio una tromba d’aria roteava intorno ai velieri, la esorcizzai con la Bibbia alla mano disegnando una croce con la spada.

I: Il viaggio proseguì senza altri intoppi?

C.C.: Purtroppo no, l’equipaggio era allo stremo e un gruppo di marinai rabbiosi dissero che era meglio tornare indietro piuttosto di morire in mare verso un’illusione. Così feci un azzardo: promisi che se entro tre giorni non si fosse avvistata nessuna terra, avrei dato loro il comando della spedizione. Nemmeno il capitano solitario di una scialuppa alla deriva, avrebbe fatto questa promessa, se non fosse stato sicuro e certo di giungere alla Terra Promessa.

I: A bordo aveva qualche segreto per calmare gli animi?

C.C.: Molta preghiera: oltre al Pater noster e l’Ave Maria; al mattino si recitava insieme:

Bendita sea la luz
Y la Santa Vera Cruz
Y el Señor de la verdad
Y la Santa Trinidad
Bendita sea el alma
Y el Señor que nos la manda
Bendito sea el dia
Y el Señor que nos lo envia.

 

Silenzio

Si sente un urlo dalla coffa all’inizio quasi soffocato, poi si libera:

Teeeerraaaaa!!!!

Riparte la musica trionfale de La conquista del Paradiso

 C.C.: Il dodici ottobre il marinaio Rodrigo de Triana, che Dio lo abbia in gloria, dalla coffa dell’albero della Pinta avvistò il nuovo mondo, mio e dei miei tanto coraggiosi, quanto disperati uomini.

Un gruppo di persone vociano  come pazzi e si abbracciano urlando.

 I: Ammiraglio, perché lei parla apertamente di Nuovo Mondo?

C.C.: ! [Urlando spazientito] Perché è sempre stata la verità! Già la conoscevo! Avevo sempre sostenuto la sfida di ritrovare Cipango partendo da Ovest, ma avevo intuito che ci fosse in mezzo qualche terra, che avevano già disegnato i marinai del nord. I calcoli di Paolo dal Pozzo Toscanelli erano sbagliati ma la circonferenza misurata da Eratostene di Cirene era corretta. Non mi sarei mai imbarcato per una distanza così folle, non crede?

I: Quindi la Storia le attribuisce un grave errore di valutazione che non le appartiene?

C.C.: Proprio così! Purtroppo però non feci abbastanza caso ai reali di Spagna che ci vietarono di dichiarare comunque le nuove scoperte, così loro e poi i portoghesi ebbero circa dieci anni per spartirsi le terre magiche che avevamo scoperto, sancito con il trattato di Tordesillas solo due anni più tardi nel 1.494, con la benedizione e la bolla Inter cætera del Papa spagnolo Alessandro VI, dividendosi le Americhe senza consentire alle altre nazioni d’Europa di partire per ventura.

L’Ammiraglio si lamenta e si dispera

Che stupido sono stato, idiota, ignorante a non comprendere che quello era anche il modo per non concedermi il premio pattuito nel contratto: il titolo di ammiraglio e la carica di viceré e “governatore delle terre scoperte”, titolo che doveva essere ereditario, la possibilità di conferire ogni tipo di nomina nei territori conquistati e, inoltre, una rendita pari al 10% di tutti i traffici marittimi futuri. Ma voi davvero, stoltamente pensate che avrei rischiato tutta la mia vita e quella dei miei uomini per arrivare nelle Indie un luogo che già tutti avevano percorso e scoperto?

Non avrei ottenuto nulla del mio contratto condiviso con i reali di Spagna.

I: Torniamo alla scoperta dell’America, se non le dispiace.

C.C.: Sì un po’ mi dispiace, avevo passato la vita a coltivare un sogno, e adesso che avevo raggiunto l’obiettivo mi accorsi di non aver fatto i conti con la sete di denaro dei fratelli Pinzon che comandavano le altre due caravelle. Erano tutti impazziti per l’oro, così perdemmo la Santa Maria in secco di prua arenandosi sopra un banco corallino e fui costretto a lasciare i miei uomini nel fortino Navidad, promisi loro di ritornare senza abbandonarli, ma erano barbari e senza alcuna voglia di lavorare, così entrarono ben presto in conflitto con gli indigeni fin lì molto amichevoli. Al mio ritorno non li ritrovai più, furono tutti massacrati, a seguito delle angherie commesse contro le donne native. Vede! Purtroppo la storia non cambia.

I: Come è stato il primo incontro con gli indigeni?

C.C.: Commovente, le dico quello che leggo dai miei appunti sul diario di bordo:

“La lingua non è sufficiente a dire e la mano a scrivere tutte le meraviglie del mare. La bellezza di queste isole con i loro monti e le loro sierre, le loro acque e le loro vallate solcate da grandi fiumi è uno spettacolo tale che nessun altra terra sotto il sole può sembrare così splendida. Gli indios Taino erano dolci e amichevoli; talmente innocui che mostrando loro le spade, si tagliarono con la lama. Essi mancano completamente di armi, a loro sono ignote. Sono ben formati e mi sembrano il miglior popolo del mondo”.

Nei viaggi successivi arrivammo anche a Cuba, dove ebbi l’onore di fumare un grande puro di tabacco. Sicuramente fui il primo occidentale a tossire per il fumo di un sigaro. Ridevano pure gli indio bambini. In un altro caso rischiammo di essere mangiati dai cannibali, ma grazie alla lettura avevo previsto e preannunciato un’eclisse; gli indios ne furono colpiti a tal punto che ci liberarono.

I: Vi spingeste anche nell’interno e verso le coste dell’attuale Caribe messicano?

C.C.: Ne può esser certo! Dopo il primo viaggio realizzai altri tre viaggi. Superammo una grande isola sulla barriera e poi arrivammo sulla costa davanti all’insediamento Maya a Tulum. Quella spiaggia dove nuotano tartarughe e pesci tropicali, anche oggi si chiama El Paraiso. Non potete immaginare lo stupore mio e dei miei uomini, l’incontro delle due civiltà fu affascinante: essi non erano come gli indios trovati fin qui, avevano una architettura più ricca, le loro piramidi sfarzose, i loro modi e i loro abiti piumati molto più raffinati. Quella volta rischiammo molto, in realtà non erano cosi pacifici come volevano sembrare, ma forse avremmo meritato la morte in mare piuttosto che immaginare la loro successiva drammatica sorte per mano di avidi conquistadores senza scrupoli.

I: Capisco Ammiraglio! Questo suo sentimento ci fa intendere in qualche modo un fenomeno che si presentò negli anni successivi.

C.C.: Infatti. Gli Spagnoli poco inclini a svolgere lavori manuali, e comunque scansafatiche erano partiti per arricchirsi e con l’orrendo principio della colonizzazione, rendemmo reale il genocidio diretto e indiretto delle popolazioni locali, che diede il via al bisogno di nuova manodopera a basso costo. Fu l’inizio dell’importazione degli schiavi dall’Africa; oggi questo si potrebbe chiamare causa – effetto. L’eliminazione completa di generazioni ha sortito l’effetto che non ha consentito all’Africa e all’America Latina, di costruire un futuro degno per i loro figli. Perciò il mondo dovrebbe essere maggiormente tollerante con gli uomini che viaggiano.

I: Ammiraglio, questa è la storia dell’uomo. Non è una sua responsabilità diretta. Anche se, la storia ci perdoni, qualcuno dice che le ha. Lei è troppo severo con sé stesso. Né può sentirsi coinvolto dai moti che sconvolsero il nostro pianeta. Il suo scopo era comunque altissimo e nobile e oggi la vogliamo celebrare come il GRANDE personaggio che ha cambiato la storia del mondo.

C.C.: Sì grazie! Voglio pensare che il vero risultato fu il viaggio stesso, con la tenacia e l’esperienza della preparazione. Che il mare possa concedere ad ogni uomo nuove speranze, come il sonno porta i sogni.

Ho imparato molto dal vostro mondo, ma penso che dovreste ascoltarmi e imparare la lezione del rispetto dalla storia:

Perchè è così che dobbiamo pretendere il mare; affinchè il Mare Nostrum, non sia bara per nessun viaggiatore. Mai!

Buoni Alisei a tutti!

 

Sipario

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.